Buongiorno a tutti,
Oggi, abbiamo il piacere di ricevere Laura Tiburzi, BIM Coordinator presso MC A – Mario Cucinella Architects, studio italiano molto famoso per il suo approccio alla sostenibilità. Vedremmo come il BIM può permettere di raggiungere alti livelli di performance sugli edifici di nuova generazione e aumentare la qualità del prodotto finale.
Cara Laura, buongiorno siamo lieti di accoglierti su ABCD Blog. Potresti per favore presentarti ai nostri lettori?
Buongiorno a voi e grazie dell’invito! Il mio percorso è molto ibrido tra il tecnico e l’umanistico, «progettista» è forse la parola che più mi si adatta in questo momento e la vivo con un grande senso di potenzialità e responsabilità: progettare è vedere prima, avere in testa qualcosa e pensare a “come” realizzarlo. Nella pratica, questo « come » richiede di collaborare con molti soggetti garantendo l’apporto del valore aggiunto di ognuno, far comunicare tra loro discipline diverse, individuare le esigenze delle persone con le quali ci si relaziona (clienti, colleghi o ipotetici utenti finali), rispettare il contesto che ospiterà il risultato del progetto. Particolarmente interessante in questo momento storico è la stratificazione di competenze tecniche e manageriali unite da una visione il più possibile olistica che ci spinge a uscire costantemente dalla nostra zona di confort senza paura di sperimentare: accanto al fondamentale lavoro di approfondimento tecnico e di settore, credo che ci sia bisogno di attività e ruoli di sintesi. Io mi muovo in questo ambito.
Che studi hai fatto, e come ti è venuta questa passione per il BIM?
Ho studiato presso il Politecnico di Milano prestando particolare attenzione alla sostenibilità e all’impatto che ha la progettazione nell’ambiente fisico e sociale nei quali opera. La sfida è ben raccolta dal BIM, per questo è diventato uno dei miei campi di approfondimento. Trovo che lavorare in BIM sia particolarmente adatto al nostro momento storico perché richiede di avere il più possibile consapevolezza dell’oggetto costruito e dei soggetti che vi ruoteranno intorno in quanto sistemi complessi e interconnessi. Dopo anni all’estero, sono tornata in Italia incontrando persone che hanno creduto in me e nell’idea che sia possibile lavorare in modo diverso. La formazione è continua sia attraverso lo studio, sia con il confronto con chi mi circonda: il lavoro dei team misti per età, esperienza e specializzazioni è un valido e concreto alleato a vantaggio del singolo, del gruppo, del cliente e del progetto.
Puoi presentarci lo studio Mario Cucinella Architects ? Quanti siete, come siete organizzati, e quale sono le vostre specialità?
Alla base della poetica e della tecnica dello studio c’è l’empatia creativa: questo concetto è la sintesi di una sensibilità che concepisce olisticamente la sostenibilità come un coinvolgimento dei luoghi dove si opera, della loro storia, delle persone che li abitano e abiteranno, delle tecniche locali, delle esigenze e delle competenze tecniche che possono essere spese. MC A opera dunque con gruppo molto eterogeneo e molto coeso di professionisti che crea una soluzione ad hoc: ingegneri, architetti, designer, esperti di progettazione parametrica. Ogni progetto è l’occasione per testarci e spingerci un po’ oltre come gruppo di lavoro. La sfida è mettere a sistema, continuamente, questo magma creativo! Attualmente siamo un centinaio, organizzati in team gestionali e operativi. Tentiamo di unire un valore umanistico a una continua ricerca tecnologica e di efficienza. In quanto metodo, il BIM si è inserito in un processo già complesso e noi dobbiamo personalizzarlo per renderlo adatto alle nostre esigenze.
Puoi citarci qualche progetto famoso dello studio?
Lo studio ha all’attivo progetti in ambiti molto diversi in Italia e nel mondo, sempre con un’attenzione particolare ai luoghi e alle dinamiche climatiche e sociali che li caratterizzano. Per esempio, attualmente a Milano abbiamo in cantiere opere dal sapore complementare: da una parte il museo etrusco ipogeo della Fondazione Rovati, sorprendentemente integrato in un elegante edificio storico (link qui).
© Mario Cucinella Architects – Torre Unipol
Dall’altra, la torre del gruppo Unipol che completerà il volto moderno, svettante e sostenibile della città (link qui);
Cantiere Torre Unipol Modello BIM MEP Torre Unipol
Dall’altra ancora, sempre a Milano, siamo protagonisti in un progetto residenziale a scala urbana che ridefinisce i contorni di luogo pubblico, privato e commerciale denominato SeiMilano (link qui).
A noi piace spaziare: i vari gruppi di lavoro sono impegnati su ospedali, scuole, edifici di culto, case di cura, terziario, industriale… difficile annoiarsi !
Quando avete deciso di passare al BIM? Quali le ragioni vi hanno convinto nel fare questa mossa?
Il BIM, in quanto metodo molto inclusivo, ci fornisce il terreno comune dove riunire idee, necessità e persone con varie competenze e migliorando la comunicazione. La decisione di passare al BIM risale a diversi anni fa proprio come naturale evoluzione del modo di progettare dello studio. La progettazione parametrica già era un importante alleato per lo studio nell’individuazione della forma e nell’ottimizzazione dei volumi e degli elementi che compongono un progetto sia per la resa tecnologica, sia per la sostenibilità economica della produzione e messa in opera. Con il tempo è aumentata la consapevolezza e la quantità di professionisti competenti: l’implementazione è in realtà un lavoro costante, una sfida interessante che ci spinge a trovare sempre nuovi strumenti, modi, protocolli (tecnici e legali) che siano a sostegno e non un limite per il processo creativo.
Eravate convinti dei benefici che questo processo vi poteva portare? Quali sono i vostri progetti di sviluppo sulla parte BIM per il futuro nello studio?
Il livello di consapevolezza cresce di giorno in giorno nei vari strati e settori dello studio ma la scommessa è stata colta fin da subito con grande entusiasmo cogliendone l’aderenza all’approccio olistico già presente in MC A, e le potenzialità di crescita futura. Occupandoci molto di sostenibilità, abbiamo un reparto di ricerca e sviluppo che assiste i progetti con analisi e indicazioni che vengono da stringenti valutazioni fisiche, ambientali, percettive; questi dati vengono poi interpretati in una risposta di sintesi che non è un puro gesto formale ma, appunto, un frutto specifico delle caratteristiche e necessità del luogo e dei suoi abitanti. La sfida, ripeto, è ottimizzare, far comunicare al meglio e mettere a sistema le diverse fasi del processo di sviluppo del progetto: dalla contrattualistica, alla modellazione fisica, ai dettagli, alla ricerca dei materiali, alla gestione interna, etc… Il BIM in Italia vive ancora un momento di grande fluidità dove tanta è la sperimentazione e noi cerchiamo di coinvolgere i clienti e i consulenti in un lavoro di gruppo che possa essere a vantaggio di tutti.
A livello del reparto BIM, come siete organizzati, quanti siete e qual è il tuo ruolo?
Volendo identificare il gruppo di chi lavora su commesse completamente BIM, direi che circa la metà dei colleghi sono in questa condizione ma l’intenzione è che tutti i nuovi progetti possano essere “firmati in BIM” visto che anche la clientela sta sviluppando una sempre maggiore consapevolezza. Guardando ai flussi interni, il BIM non coincide con i software ma permette la collaborazione tra più competenze attraverso l’interoperabilità e degli standard strutturati dunque ogni nuovo progetto è l’occasione per potenziare l’integrazione tra i vari settori. Il nostro obiettivo e cercare di non avere un reparto BIM separato dal team di progettazione, ma di cercare di avere degli esperti BIM che siano prima di tutto dei progettisti e che ci sia un costante dialogo tra le diverse competenze. Per noi la maturazione di questo processo porta il grande vantaggio di permetterci la massimo flessibilità in tutte le fasi del progetto garantendo comunicazione interna e esterna, coerenza di output, velocità di valutazione e modifica, maggiore efficienza e controllo. In quanto BIM Coordinator, il mio ruolo all’interno dello studio è di cerniera tra le figure strategiche e quelle operative. Praticamente significa che passo meno tempo progettando in senso stretto ma che devo applicare la mia creatività in diverse aree sempre attive: le mie competenze vanno dal contrattuale-procedurale, al settaggio e implementazione degli strumenti, alla gestione del team assegnatomi, all’assistenza e formazione dei colleghi, al controllo qualità dei modelli, al coordinamento interdisciplinare. Faccio parte del nucleo fondativo del gruppo di coordinamento BIM dello studio, composto dai BIM Manager e dai Coordinator con maggiore esperienza.
All’interno dello studio abbiamo un reparto di ricerca e sviluppo a supporto costante dei progetti e che risponde a diverse necessità progettuali, compreso il calcolo della carbon footprint, tema approfondito nell’ultimo periodo. Le valutazioni che vengono sviluppate sono proporzionate allo stadio di sviluppo del progetto e sono relative a tutti i parametri che possono essere gestiti architettonicamente. Quando invece si aggiunge il tema impianti (così come per valutazioni puntuali per le strutture), collaboriamo a stretto contatto con consulenti specializzati. Il tema dell’interoperabilità è dunque molto sentito perché il processo di progettazione di MC A prevede una continua collaborazione sia con i consulenti esterni, sia tra diversi settori interni allo studio (dalla modelleria che produce concretamente i modelli fisici per una migliore valutazione della qualità architettonica, al reparto di ricerca a sviluppo, per le analisi ambientali, energetiche e di benessere e comfort, allo sviluppo dell’architettura e dei dettagli, all’ufficio contratti). I consulenti scelti e le imprese con i quali collaboriamo sono per lo più già strutturati per il lavoro in BIM ma, come noi, sono sempre attivi per affinare metodi e strumenti.
Cosa fa un BIM Coordinator come te al quotidiano? Quali sono le sfide?
Potrei aprire una rubrica «vita da BIM Coordinator»: è una posizione molto interessante secondo me perché davvero fa da tramite tra le indicazioni strategiche che arrivano dalle figure apicali dello studio e la pratica della progettazione. All’aumentare delle competenze dei colleghi sull’utilizzo dei software diminuisce il coinvolgimento stretto sulle soluzioni architettoniche di dettaglio e si passa a un lavoro più gestionale e organizzativo sia in termini di controllo modelli, dati e standard di qualità, sia di gestione del gruppo di lavoro, formazione, risoluzioni di problemi complessi. Per i coordinator personalmente vedo due sfide molto vive e a volte direzionate in modo opposto: da una parte la necessità di approfondire la programmazione informatica e l’interoperabilità per rendere sempre più coesi i team di progettazione (all’interno ma anche verso l’esterno), limitare la perdita di informazioni, snellire alcune procedure e aprire nuove possibilità di linguaggio; dall’altra allontanarsi un po’ dai dettagli quotidiani e collaborare a ripensare più in generale il modo con cui lavora l’intera filiera e come introdurre la digitalizzazione nelle nostre attività. La criticità del cambio di strumenti senza cambiare veramente metodo viene ben tratteggiata dalla massima di Peter Druker: “Non c’è nulla di più inutile e inefficiente che fare con grande efficienza una cosa che non andrebbe proprio fatta”. Questo secondo campo di ricerca richiede tempi più lunghi e la disponibilità di molte persone per mettere a sistema una soluzione ampia.
Qual è il livello d’adozione del BIM in Italia? Avete un obbligo del BIM, pensi che ha aiutato a spingere il mercato?
Volendo generalizzare, la mia impressione è che in Italia ci sia ancora una certa differenza tra studi grandi e piccoli: gli studi grandi hanno abbracciato la sfida del BIM già da diversi anni mossi dalla disponibilità di commesse più strutturate e, a volte, dalla maggiore consapevolezza delle potenzialità. Gli studi piccoli in genere soffrono di una mancanza di conoscenze adeguate, di un rallentamento dovuto ai costi iniziali di implementazione e della mancanza di committenza edotta. La questione è sicuramente complessa ma noto concreti passi nella direzione di una maggiore digitalizzazione e modernizzazione del settore che mi fanno ben sperare. Da non trascurare è il fatto che l’Italia si è dotata da una parte di una normativa nazionale che prevede l’obbligatorietà dell’uso del BIM per le commesse pubbliche (per step a partire dagli interventi di maggior peso fino a quelli più piccoli), e, dall’altra parte, dell’appendice nazionale alla ISO1650 che sta aiutando alla definizione di termini, professionalità, procedure e documenti. Questi due strumenti normativi, uniti a una maggiore alfabetizzazione sui temi del BIM e a una maggiore diffusione dei software che supportano la metodologia, stanno portando a un graduale ma evidente diffondersi delle commesse così strutturate. L’università, inoltre, sta giocando un importante ruolo nella formazione di nuovi professionisti già ambientati all’approccio BIM e all’utilizzo di strumenti digitali avanzati; questi giovani laureati portano negli studi in Italia e all’estero competenze che ben si possono integrare con quelle più prettamente professionalizzanti che possono venire dai colleghi delle precedenti generazioni.
Vorresti dire qualcosa di particolare ai nostri lettori?
Proprio per via del momento storico e della scelta di lavorare in BIM (che è collaborativo), emerge più forte che in passato la necessità di dare ampio spazio alle soft skills: credo che la collettività sociale e dei professionisti migliori anche attraverso la valorizzazione del singolo, sia come unità sia come facente parte di qualcosa di più complesso nel quale può portare il suo valore aggiunto. È fondamentale che ci sia un clima di rispetto che faciliti la domanda, il confronto costruttivo e la condivisione delle idee. Sono particolarmente felice che la UNI1137-7 (l’appendice nazionale italiana della ISO19650 che tratta le figure professionali tipiche del lavoro in BIM), ponga l’attenzione esplicitamente sul fatto che tra i compiti del BIM coordinator ci sia anche quello di occuparsi del gruppo e delle persone: non siamo ingranaggi meccanici ma risorse molto umane che possono dare il meglio solo se considerate tali nelle loro potenzialità e sfide. Può sembrare una visione un po’ filosofica della cosa ma l’esperienza mi porta a pensare che questo approccio porti vantaggio a tutti e aumenti la qualità del prodotto finito.
Al di fuori del BIM e dello studio, quali sono le tue passioni?
Ho molte passioni perché ho molte curiosità ma direi che il teatro è l’attività che più di tutte mi ha regalato scoperte impreviste sia nell’esplorazione di me stessa, sia nella crescita della relazione con gli altri perché sul palco non si è mai soli ma almeno in due: l’attore e chi reagisce all’atto, sia esso altro attore o pubblico. A pensarci meglio, credo che diverse esperienze maturate in ambito teatrale siano poi diventate valide alleate nell’affrontare l’imprevedibilità, le sfide quotidiane e le grandi potenzialità della nostra professione.
Laura, mille grazie per questa bella e molto ricca intervista. Ti auguriamo di continuare con altrettanta passione il tuo ruolo in Mario Cucinella Architects.
Sito ufficiale Mario Cucinella Architects ici.